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Come diventare Choice architect?

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Quando è il momento di relazionarsi con un pubblico (di stakeholders, consumatori, partner commerciali, colleghi… amici o parenti), è necessario farlo con consapevolezza e in modo da raggiungere l’obiettivo che ci si prefigge. Il discorso vale per vendere un aspirapolvere porta-porta, o per realizzare una fusione societaria tra due Corporation internazionali quotate in borsa.

A questa premessa banale dà risposta un’interessante campo di studi, chiamato “Economia Comportamentale” (o, all’inglese, “Behavioural Economics), su cui RCG fonda molte delle sue scelte più “sottili”. Quando si tratta di gestire un progetto di comunicazione o un processo tecnologico innovativo, prima ancora di ragionare sulla User Experience, è infatti necessario fare un passo indietro e guardare il quadro complessivo con un’attenzione particolare a come il cervello umano funzioni.

Il principio liberale per cui un consumatore, se dovutamente informato, opera la scelta più razionale d’acquisto è infatti una visione un po’ limitata di cosa effettivamente ampi studi stanno dimostrando: le decisioni non sono mai fatte in modo “asettico” ed isolato, ma vengono prese sotto forte influenza di innumerevoli fattori esterni e di contesto.

Il Nudging

Il “Nudge” (gomitata) è una teoria basata sul termine coniato dal Prof. Richard Thaler e dal Prof. Cass Sunstein nel loro brillante libro del 2008 “Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth and Happiness”. Consiste nello stabilire che ogni persona o soggetto che configuri in qualche modo un ambiente (fisico o virtuale) in cui vengano prese delle decisioni le può influenzare, diventando un “Choice Architect”.

A chi pensa si tratti di una teoria da “guru del marketing” o poco concreta, si può rispondere che fior fiore di ricerche universitarie confermano il reale funzionamento dei processi (anche) neurologici che la riguardano. Ad esempio la “Nudge Unit” (The Behavioural Insights Team) del British Cabinet Office, ente governativo inglese, dimostra risultati sorprendenti nella gestione dell’apparato pubblico (ad esempio… far pagare le tasse!) con il nudging. Evidenze e test rigorosi ci aiutano, insomma, a prendere la decisione giusta: applicare le teorie comportamentali alle nostre attività.

Choice Architect

RCG non si occupa di effettuare studi o ricerche psicologiche, ma decisamente vuole raggiungere l’obiettivo dei suoi clienti ogni volta che offre una consulenza o affronta un nuovo progetto. Per questo motivo, tiene ben presente la velocità dell’evoluzione tecnologica da un lato, ma anche l’irrazionalità dei processi decisionali individuali dall’altro. Cambiare la “default option” di una scelta può portare a incrementi di risultato consistenti, così come offrire migliori feedback. E se la GDO (per intenderci, i supermercati) l’ha capito da tempo, molti soggetti sottovalutano questo approccio, così efficace ed economico al tempo stesso.

Un esempio? La mensa di Google, consapevolmente riorganizzata sulla base di dati di consumo e “influenza” del consumatore, con finalità di risparmio, certo, ma soprattutto di welfare aziendale e di un miglioramento consistente nelle abitudini alimentari dei dipendenti aziendali. È esattamente il tipo di nudging che piace a noi: basato sui dati (ed è lì che le possibilità del web ci rafforzano) e finalizzato ad uno scopo utile, ma soprattutto etico.

Gli occhi lucidi di un bimbo che ci guardano dallo striscione di un banchetto che ci chiede un contributo economico non sono “poverty porn”, ma un meccanismo (piuttosto palese) di suggestione per portarci ad una decisione emotiva. L’opzione opt-in o opt-out in un form di qualunque tipo conduce ad effetti vertiginosamente opposti, su campioni identici di pubblico. I cartonati nel settore orto-frutta del supermercato che raffigurano un dottore e che suggeriscono di mangiare sano, allo stesso modo, fanno leva su un nostro “archetipo” mentale e sono efficaci. Scegliere un piatto più piccolo per un self-service “all you can eat” non è solo una scelta estetica… così come dare a disposizione del proprio pubblico di consumatori un carrello più grande, oppure mettere le merendine vicino alla cassa.

Call to action

Il lucchetto dello spirito umano è facile da aprire, se si tengono in considerazione tanti fattori. Parliamo spesso, quando facciamo il progetto di una landing page o la grafica di un portale, di “call to action” e di UX: mettere un tasto in basso o in alto, nella fretta della fruizione web da parte dei naviganti di internet, può fare la differenza. È affascinante (e fondamentale) prendere l’argomento ancora più sul serio, e non basarci solo sulla “gestione degli effetti” ma soprattutto sull’analisi delle cause: se l’A-B test di una landing page ci spinge in una direzione, non è solo perché il pubblico è volubile e distratto. Per questo approfondiremo, insieme agli altri contenuti che condivideremo, alcuni di questi principi di “livello strategico-operativo”, che incorporiamo nei nostri processi decisionali interni ma che possono essere esplosi ed approfonditi su più piani. È pubblicità, è marketing, è etica, è storytelling, ma è anche molto di più.

Per chi volesse anticiparci e approfondire, ecco qui qualche contributo assai interessante.